Le indennità di trasferta abituale, spettanti agli addetti tenuti per contratto all’espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, possono godere del regime agevolato previsto dall’articolo 51, comma 6, del Tuir e della relativa imponibilità fiscale e contributiva nella misura del 50% del loro ammontare, se corrisposte in misura fissa, a prescindere dalla continuatività dell’erogazione delle stesse. Questo l’importante principio di diritto contenuto nella sentenza 27093/2017 della Corte di cassazione a sezioni unite depositata ieri.
La Suprema corte ha superato il proprio precedente orientamento, che si era andato consolidando a partire dalla sentenza 396/2012, secondo il quale per fruire della disciplina di favore non si richiede «che le indennità e le maggiorazioni ivi previste siano corrisposte in maniera fissa e continuativa».
L’intepretazione a suo tempo fornita era fondata sull’assunzione che l’espressione «anche se» contenuta nel comma 6 («anche se corrisposte con carattere di continuità») fosse una ipotesi eventuale, dovendosi intendere come nucleo significativo della disposizione il dato relativo all’obbligo contrattuale assunto dal dipendente di espletare normalmente le proprie attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi e quindi al di fuori di una qualsiasi sede di lavoro prestabilita.
Peraltro, per l’applicazione della riduzione al 50% degli imponibili fiscali e contributivi, l’articolo 7-quinquies del Dl 193/2016 con norma di interpretazione autentica dell’articolo 51, comma 6, del Tuir, ha stabilito che devono sussistere le seguenti tre condizioni:
– la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro (elemento formale);
– lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente (elemento sostanziale);
– la corresponsione al dipendente in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi di un’indennità o maggiorazione di retribuzione “in misura fissa”, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta (elemento retributivo).
In caso di mancata contestuale esistenza delle tre condizioni non è preclusa l’applicabilità del comma 5 dell’articolo 51 del Tuir (disciplina delle trasferte in senso stretto).
Nel caso specifico, il ricorrente, titolare di una ditta individuale, aveva corrisposto ai propri dipendenti nei giorni di presenza e di svolgimento di attività al di fuori del comune dove la ditta ha sede, un’indennità di trasferta nei limiti indicati dal comma 5, articolo 51 (e quindi non imponibili fiscalmente per il dipendente). Secondo la Corte d’appello le somme erogate a titolo di indennità di trasferta si sarebbero dovute inquadrare come trasferte abituali di cui al comma 6, articolo 51 e pertanto imponibili al 50% ai fini fiscali e previdenziali.
Secondo la sentenza depositata ieri, invece, la Cassazione accoglie le doglianze del ricorrente visto che l’indennità non è stata corrisposta in misura fissa e considerato che i lavoratori hanno svolto mansioni di preinstallaggio presso la sede della ditta, nonché attività presso terzi, nello stesso comune.
Pertanto, per i supremi giudici mancando due dei tre elementi richiesti dall’articolo 51, comma 6, del Tuir, è possibile applicare la disciplina delle trasferte occasionali (articolo 51, comma 5).
In conclusione, la locuzione «anche se» relativa alla possibile corresponsione continuativa dei compensi di trasferta ha un valore concessivo, nel senso che le suddette somme, comunque corrisposte, possono formare il reddito nella misura del 50% del loro ammontare e mai – pur se continuative – nella misura del 100 per cento.
(Via Il Sole 24 Ore)
Aosta, 21 novembre 2017